Il mio metodo
Il mio metodo terapeutico prende spunto dall’approccio psicoanalitico il cui fondatore fu Sigmund Freud, e dai suoi successori (Melanie Klein, Donald Winnicott, Wilfred Bion). Questi autori hanno studiato le origini intrapsichiche della sofferenza a partire dall’osservazione del bambino con i suoi caregiver. Un interessante sviluppo della teoria freudiana è la teoria sulla trasmissione psichica del dolore mentale attraverso le generazioni.
Mi sono interessata agli studi di Donald Winnicott sullo sviluppo infantile e dell’individuo analizzando nel profondo le componenti della sofferenza radicate nei primissimi stadi dello sviluppo.
La psicoanalisi, essendo la scienza delle origini, è arrivata a formulare un approccio alla cura delle malattie psicosomatiche così profondamente legate nel corpo da eventi occorsi nelle primissime fasi dello sviluppo. Si vedano gli scritti di Anzieu sul tema.
Il percorso di cura prevede una graduale presa di contatto con la propria sofferenza e un’elaborazione profonda della propria storia di vita attraverso la relazione e la guida del proprio terapeuta.
Nonostante la necessaria rigorosità del metodo (rispetto degli appuntamenti e dell’orario stabilito) l’approccio psicoanalitico prevede un incontro gentile con la sofferenza della persona, le cui parti ferite possono essere gradualmente sfiorate, conosciute e integrate all’interno della propria personalità.
Il metodo psicoanalitico si basa sulla lentezza e tenerezza, forse controcorrente rispetto ai tempi stretti e veloci del mondo odierno. La psicoanalisi, ed insieme la ricerca delle radici del proprio dolore mentale, è un processo che richiede tempo e pazienza, costanza e perseveranza e un graduale affidarsi alla cura.
La tenerezza e la capacità di relazione
Secondo la tradizione psicoanalitica tracciata da Wilfred Bion la cura avviene attraverso lo sviluppo, nell’analista adeguatamente formato, della capacità di Rêverie, che significa la capacità di sognare il proprio paziente negli aspetti traumatizzati del Sé.
La sofferenza è spesso dissociata e si manifesta attraverso i sintomi. La funzione dell’analista è quella di vedere e accogliere la verità del paziente aiutandolo a realizzare il progetto della propria vita.
La capacità relazionale dell’analista e la sua relazione con il paziente può essere trasmissibile e favorire nel paziente un miglioramento della capacità relazionale. Con l’espressione “capacità relazionale” dell’analista si intende che egli sappia entrare e rimanere in contatto con il paziente e con i suoi contraddittori e molteplici stati d’animo ma anche al fatto che egli, l’analista, sia capace di entrare in contatto anche con i propri di stati d’animo, compresi quelli connessi con esperienze relazionali passate, che sono state insoddisfacenti. In questo modo l’analista crea uno spazio il più possibile sgombro per accogliere i vissuti di sofferenza del paziente.
La capacità dell’analista di sognare il paziente nei suoi aspetti traumatizzati si riferisce ad un tenero accostarsi all’altro, intendendo la cura come un moto di tenerezza fra il terapeuta ed il proprio paziente. È attraverso questo delicato lavoro di contatto con le parto ferite del sé che la psicoanalisi favorisce la cura e lo sviluppo di processi integrativi nella persona che soffre permettendo un’elaborazione profonda del proprio vissuto e favorendo lo svilupparsi di un’esistenza più vicina al proprio sentire.

Perché lo psicoanalista usa il lettino
Il lettino è uno strumento terapeutico in alcuni casi importante, in altri non necessario.
Il lettino favorisce processi regressivi che permettono la presa di contatto con le parti più antiche e sofferenti di Sé, spesso parti non integrate della mente sofferente e traumatizzata.
Il lettino può spaventare proprio a causa della diffidenza e della non fiducia nei confronti di una possibile cura e riparazione al proprio passato.
È dunque sempre utile parlare col proprio terapeuta delle proprie angosce, paure e fantasie legate al processo di cura.